Melinda la strega:
«Pianse la mamma quando io nacqui e morì pochi mesi dopo, credo che morì proprio per questo, perché ero nata io figlia maledetta. Se fossi nata maschio, sarebbe stato tutto diverso, avrei spezzato la catena del destino; un bambino come tutti gli altri, un ragazzo, un uomo come tutti gli altri, contadino, muratore, cameriere, o sarei morto in guerra, chissà. E non sarei stata sempre così sola. Settima femmina di una famiglia senza maschi, nata al settimo mese avvolta nella placenta, sette e sette, numero della malasorte. Chi mai nacque più strega di me?”
Melinda la strega: l’enigma del Gran Sasso
L’ultimo identikit della strega abruzzese, l’ha forse tracciato lo scrittore Dino Buzzati che, in cerca dell’Italia misteriosa per i suoi reportage sul “Corriere della sera”, si è fermato a Teramo nel 1965 ed ha avuto, dal suo amico Franco Manocchia le informazioni sulla “strega Melinda”, morta a 93 anni, (tre anni prima) nella sua casupola in uno sperduto paese di povera gente sul piedistallo del Gran Sasso”.
Melinda fu schernita sin da bambina senza darsi una spiegazione di ciò che le accadeva fino a quando a quindici anni una comare gli disse:
“Lo sai che sei una strega? Nata settima femmina il settimo mese, sarai strega per tutta la vita”.
Felice di sapersi una strega fu spinta da questa comare a imparare come eseguire fatture, con l’intenzione di legare a se un giovanotto di Penne proprio di quei tempi l’aveva sedotta e abbandonata, poi partito in guerra senza nemmeno un saluto. Quando lui tornò dal fronte nel suo guanciale del letto, c’era nascosta la fattura e in pochi giorni fu ammattito d’amore.
Erano ciocche dei capelli di Melinda, un bottone del suo corpetto, un pannolino sporco di sangue. Di lì a poco si sposarono e dalla loro unione nacquero due gemelli maschi, successivamente lui ripartì in guerra e morì.
Il buon effetto della sua prima fattura fece il giro delle comari; così sola e con due bocche da sfamare si diede subito da fare e andò a Forcella da un “magarone” che operava con un trincetto da calzolaio e guariva torcibudella e cancro. Gli insegnò le arti del bene. Le fatture cattive le apprese da una vecchia di Monteprandone, provincia di Ascoli Piceno. Tornata al suo paese cominciò a operare le arti magiche già a 18 anni.

Fatture e sortilegi: il nome di Melinda risuona nel territorio
Da allora cominciarono a venire dai paesi vicini perché avevano bisogno di guarire o guadagnare, di amare, uccidere.
“Per le fatture buone mi davano a volontà: un mazzo di aglio, qualche carta da cento. Per le fatture a morte volevo mezzo maiale”.
Tra i sortilegi che la strega Melinda descrisse c’è per esempio quello che fa diventare pazzi, o ciechi, o sordi; lei usava un faccione di donna scolpito in una radice d’olivo, con una criniera di capelli finti; e ficcava chiodi nella parte desiderata.
Questo feticcio serviva anche per le fatture a trasferimento, che fanno passare una malattia da una persona all’altra. Spesso i risultati si vedevano perché per suggestione se uno sapeva di essere stato affatturato a forza di pensarci su c’era il caso che si ammalasse o impazzisse davvero.
Per far soffrire d’amore invece, Melinda chiedeva una fotografia dell’amato, un oggetto o indumento che fosse stato a contatto della sua pelle, un cuore di capretto e degli spilli. Il cuore lo metteva sopra la foto e poi lo trafiggeva con gli spilli.
L’oggetto dell’amato doveva essere tenuto sotto il guanciale di lei. Le fatture a morte erano fatte di succo di radici bollite, infuso di lauro, sangue di porco lessato, sangue della donna che voleva uccidere o seme dell’uomo, svariate erbe e spezzatino di funghi velenosi; da versare, in dosi minime, per sette giorni, nel caffè della vittima. Insomma veleno bello e buono. È un mondo scomparso per sempre quello delle streghe, imborghesito dal tempo che passa, attualmente fatto d’inserzioni sui giornali o pagine digitali.
by M. D. L.